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Fedez condivide l’ecografia di suo figlio, già social prima di nascere
Pubblicato in Giovani ProlifeFedez nel suo profilo Instagram ha postato l’ecografia del feto del nascituro suo figlio nella pancia di Chiara Ferragni. Non è il primo a condividere ecografie, ma lui è un influencer e quindi quella foto a un giorno dalla sua pubblicazione ha 533.000 cuoricini e 3545 commenti.
Fedez quindi con il suo atto sancisce la nascita di un dogma: “la vita digitale inizia prima di quella reale”. In altri termini: “prima si è social e poi si entra nella società”. Occorre che si cominci a prendere atto di questo fenomeno, la nostra ombra digitale inizia ad allungarsi sulla terra prima ancora che ci sia dato di venire alla luce. Si aprono vari capitoli rispetto alla necessaria riscrittura di molte nostre certezze, la tutela dell’immagine di minori va estesa anche alla loro fase embrionale? La data di nascita che segna l’identità anagrafica di un cittadino va spostata alla sua venuta al mondo o alla sua prima condivisione su Instagram? Il nostro diritto alla privacy inizia dall’età della ragione o dalla ragionevolezza dei nostri genitori nel risparmiarci la pubblica esposizione, quando ancora non siamo completamente formati nel nostro aspetto fisico? E per ultimo…Quale categoria di sponsor di abbigliamento o accessori potrebbe investire su un feto, necessariamente nudo senza orologio e senza tatuaggi?
La nostra riflessione è questa:
Un'ecografia di un bambino di poche settimane commuove il web perché si tratta del figlio di gente famosa.... il bambino non ancora nato è già guardato e chiamato a tutti gli effetti come un bambino...Viene da domandarsi se questo non porterà ad aprire gli occhi...le prodigiose macchine che sanno esplorare nel buio del ventre materno dunque ci accompagneranno ad una presa di coscienza nuova? E' possibile. Lo speriamo.
Quando una donna si reca ad abortire perchè quella foto non viene mostrata ?
Un bambino ucciso ogni 5 minuti. Dal 1978 più di 6 milioni uccisi dall'aborto. Ricordiamo anche questi morti".
Questo il contenuto di migliaia di manifesti apparsi nel centro di Roma in questi giorni. "Il messaggio è sicuramente forte ma rappresenta la pura verità", commenta Toni Brandi, Presidente di ProVita Onlus, perché - continua - pone l'opinione pubblica dinanzi a "ciò che è realmente l'aborto volontario: l'uccisione massiva di bambini innocenti nel grembo materno, con orribili strumenti di morte. Brandi dunque incoraggia gli autori dei manifesti a "proseguire nella buona battaglia".
Di recente ProVita ha dato avvio ad una grande campagna contro l'aborto volontario. In occasione della notizia dei manifesti di Roma, la piattaforma pro-life rilancia la petizione pubblicata sul suo sito "Perché le donne siano davvero informate sull'aborto"."Crediamo che informare le donne sulla vera natura e sulle vere conseguenze dell'aborto volontario non solo faccia onore alla verità, ma contribuisca a salvare vite: sia quelle dei bambini che quelle delle donne coinvolte".
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un vero e proprio assalto alla 194 – della quale nel 2018 cadono i 40 anni dall’approvazione – imbastito da chi l’aveva fortemente voluta e rivendicata come segno di libertà delle donne. Un assalto costruito intorno a due favole: la prima, quella dell’aborto facile con la pillola abortiva Ru486, di cui si chiede una promozione massiccia anche fuori dagli ospedali, somministrata in consultori e ambulatori e con aborti casalinghi, che avvengono "a domicilio"; la seconda, quella che vorrebbe cancellare l’obiezione di coscienza dei medici, perché a obiettare sarebbero in troppi.
Due favole, dicevamo, perché i fatti sono noti e dicono altro: l’aborto con la Ru486 è più doloroso e rischioso di quello effettuato con le altre procedure. Basti pensare alla mortalità, dieci volte maggiore nel metodo farmacologico rispetto a quello chirurgico. In Italia dei tre decessi segnalati finora, in 40 anni di applicazione della legge, due sono avvenuti successivamente ad aborti farmacologici. Con la Ru486 l’aborto è gestito in piena consapevolezza dalla donna, che deve controllare l’emorragia indotta con la pillola per decidere se chiedere o no l’intervento di un dottore. Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, i dati nelle relazioni al Parlamento parlano chiaro: gli aborti si sono più che dimezzati (dai 235mila del 1982 agli 88mila del 2015) mentre i medici non obiettori sono rimasti quasi costanti. Il numero di aborti effettuati per settimana dai non obiettori è bassissimo: 1,6 la media nazionale, e i dati forniti dalle regioni, a livello di singola Asl, mostrano pochissimi scostamenti significativi. Se problemi gestionali ci sono, quindi, non dipendono dal numero degli obiettori, ma da un’organizzazione sanitaria inadeguata.
Riguardo alla RU486, va ricordato che ogni Regione si è comportata diversamente, come accade spesso per la sanità. Dal ricovero ordinario al day hospital, dalla centralizzazione in pochi ospedali alla distribuzione diffusa, le diverse amministrazioni hanno scelto liberamente come utilizzare il prodotto abortivo, a prescindere dalle indicazioni ministeriali (che non sono vincolanti), purché sempre in àmbito ospedaliero, come previsto dalla 194. Per l’obiezione di coscienza, appurato che il problema non è la numerosità degli obiettori, va ricordato che la legge prevede che le Regioni possano mettere in mobilità il personale – obiettori e non – se la loro distribuzione sul territorio non è adeguata.
E allora, perché chi ha voluto la 194 adesso la vuole cambiare? Gli obiettivi sono diversi: anzitutto aprire al mercato, ai grandi provider privati. Non è un caso che il primo dei due ricorsi in Consiglio d’Europa contro gli obiettori di coscienza è stato di «Planned Parenthood», la potentissima ong internazionale nelle cui cliniche affiliate l’aborto è uno dei "servizi" più diffusi e remunerativi. È la famosa ong cui vengono tolti i fondi dai presidenti Usa repubblicani – Bush e Trump, per esempio –, puntualmente restituiti quando sono eletti i democratici – è il caso di Clinton e Obama. E se il privato non riuscisse a entrare in Italia – come è stato finora, perché l’Europa non li ha ascoltati – allora, a prescindere dai numeri delle richieste, tutti gli ospedali dovrebbero comunque avere personale non obiettore, comprese quindi anche le strutture cattoliche (secondo obiettivo).
Con la pillola abortiva lo scopo è far scomparire l’aborto dall’orizzonte, trasformandolo da problema sociale, che riguarda tutti noi, ad atto medico, squisitamente privato, che riguarda solo chi lo fa (terzo obiettivo). Togliendo di fatto l’obiezione di coscienza e confinando l’aborto fra il bagno e il tinello di casa si riuscirebbe a chiudere ogni discussione, a sopire ogni polemica, a spegnere, finalmente, l’aspetto drammatico e problematico dell’aborto. La soppressione della vita umana nel grembo materno: che non se ne parli più!